Una carriera cominciata da giovanissimo, quando, poco più che ventenne, appena uscito da una delle più prestigiose scuole di teatro italiane, quella dello Stabile di Genova, mosse i primi passi da professionista del palcoscenico in Madre Courage di Brecht, insieme alla grande Lina Volonghi, per poi continuare accanto ad attori del calibro di Tino Buazzelli, Alberto Lionello e tutti i più bei nomi di quel teatro che ora purtroppo non c’è più ma che ha lasciato pochi ma buoni eredi. Fra questi lui: Tullio Solenghi.
Seduto nel suo camerino al teatro Acacia di Napoli, dove è in scena con la particolarissima edizione de “LA BISBETICA DOMATA” di Shakespeare diretta da Matteo Taraschi e prodotta da Gabriele Lavia, Solenghi ci accoglie con quell’aria sorniona che il grande pubblico televisivo ha imparato a conoscere in questi anni di apparizioni televisive, e precisamente dalla seconda metà degli anni ’70, quando Pippo Baudo lo lanciò nella trasmissione Luna Park, in cui debuttava anche l’allora diciottenne Heather Parisi.
Questo spettacolo, dopo tanta televisione e teatro d’evasione, è da considerare un vero e proprio ritorno alle origini. In tempi in cui è di moda un teatro di tutt’altro tenore, commercialmente legato alla televisione ed al cinema, come mai una scelta così imprevedibile e tanto poco consueta?
“Quella di fare scelte imprevedibili è sempre stata una mia condotta professionale che mi ha ripagato. Come quando, ad esempio, ero nel trio e dicemmo no a Berlusconi che ci corteggiò a lungo, facendoci tante allettanti promesse, perchè, come era di moda allora tra molte star televisive, passassimo a Canale 5. Oppure quando ci si aspettava da noi che facessimo ancora una volta Fantastico, ed invece abbiamo fatto I Promessi Sposi, andando sicuramente controcorrente, ma ripagati da un grande successo.
Certo, la vostra parodia de I Promessi Sposi è entrata di diritto tra i cult della televisione italiana.
Gia. mentre credo che se avessimo fatto Fantastico questo si perderebbe, fra virgolette, fra i vari “Fantastici”. Pertanto adesso tornare al teatro classico voleva dire, per me, non misurarmi con i soliti testi d’evasione, vicini all’idea che il grande pubblico ha di me, ma andare più sul concreto. Anche se poi La Bisbetica Domata è considerata tra le Comedy di Shakespeare “
Ma va detto che si tratta di una trasposizione registica molto particolare: tutti uomini in scena, anche nei ruoli femminili, senza però nessuna concessione al travestitismo di maniera, o alla facile battuta. Per giunta il suo personaggio, Petrucchio, quasi sempre rappresentato come un simpatica canaglia, anche grazie all’interpretazione di Burton, nel film di Zeffirelli, qui, soprattutto nel secondo atto, lo vediamo tragicamente cattivo
“Certo, è una lettura completamente di versa di Petrucchio, ma anche di Solenghi. Eda anche qui la scelta apparentemente controcorrente è stata ripagato: era da anni che in un mio spettacolo non avvertivo da parte del pubblico il religioso silenzio che c’è nel monologo finale.
Lei appare oramai rarissimamente in televisione, limitando le sue apparizioni, negli ultimi anni, quasi esclusivamente alla presentazione dei premi Olimpici per il Teatro. Anche questa è una delle sue scelte anticonvenzionali?
“Diciamo che fiction non potrei farne, perchè il teatro assorbe gran parte del mio tempo, tra prove e tournee. Per il resto non vedo granché di interessante. io amo interpretare ciò che vorrei vedere come pubblico. Persino una trasmissione non riuscitissima sotto il punto di vista degli ascolti come Max e Tuk, ho deciso di farla perchè l’avrei gradita come telespettatore”
Cosa ne pensa, lei che ha fatto tanto cabaret, soprattutto in televisione, facendo parte della generazione di Beppe Grillo, Antonio Ricci, Carlo Verdone, Roberto Benigni e Massimo Troisi, dei nuovi cabarettisti che vengono sfornati da trasmissioni quali Zelig, Colorado cafè e c.?
“Credo che siano figli dei tempi dello zapping. Negli anni sessanta un monologo comico di Walter Chiari durava più di un quarto d’ora. Noi invece non potevamo concederci più di otto minuti, nell’arco dei quali le risate erano scritte, nel senso i nostri tempi erano studiati per indurre il pubblico alla risata in momenti prestabiliti. Ora i comici fanno interventi di due minuti, tre al massimo, e la risata arriva quasi meccanicamente, pertanto è difficile stabilire se fa ridere il comico di per sè o se, inserito in quel contesto, farebbe ridere anche il tuo macellaio”
In questi giorni è di grande attualità il dibattito sull’opportunità di fare satira sulla religione. Vorrei conoscere la sua opinione, visto che, ai tempi del Trio, è stato addirittura minacciato di morte, insieme ai suoi colleghi, per aver imitato Komeini. Per non parlare del polverone che si levò, durante il Festival di Sanremo del 1989, quando sempre lei “interpretò” l’inesistente santo che darebbe il nome alla cittadina dei fiori.
“Premettendo che io non accetto che sia messo nessun bavaglio alla satira, credo che stia comunque al buon senso di chi la fa porsi certi limiti. l’episodio di San Remo, col senno di poi, se tornassi indietro cercherei di evitarlo. E non per le polemiche in cui allora sguazzarono i mass media, ma per la reazione di delusione che ebbe mia madre cattolica osservante. Mi ha sempre ammirato e sostenuto, ma quella cosa lì proprio non le andò giù. Da ateo capii che non è giusto turbare le persone in buona fede che fanno della religione un valore”
Cosa ricorda dei grandi attori con cui ha avuto la fortuna di iniziare la sua carriera?
“Di Lina Volonghi ricordo il profondo rispetto per ciò che facevamo. Lei non riteneva la nostra una professione, non voleva che diventasse una routine. Lei la riteneva, per usare una parola grande, quasi una missione. La sera, prima di andare in scena, rileggeva sempre la parte, che lei stessa aveva trascritto in un quadernetto e poi, quando aveva finito, recitava il rosario. Questo rito donava alla serata, soprattutto per un giovane attore quale ero io allora, una grande magia”
E lei cosa cerca di trasmettere ai giovani attori con cui le capita di lavorare oggi?
“Spero di riuscire a trasmettere loro l’entusiasmo che ho per questo lavoro, anche quando la serata può non sembrare particolarmente riuscita. Se noto che c’è qualcosa che non va, voglio che lo spettacolo sia rimesso in prova. Pretendo comunque che si lavori per poter dare il massimo e che il pubblico di Napoli e quello di Belluno si trovino di fronte ad un lavoro ugualmente valido”
Dopo questo Shakespeare, quale sarà il suo prossimo spettacolo?
“Ancora un grande classico, Le Nozze di Figaro di Beumarchais, con cui debutterò il prossimo mese di marzo “
C’è un collega col quale le piacerebbe dividere il palco, un giorno?
“senza dubbio Gabriele Lavia. Spesso gli ho lanciato la proposta, che spero si possa realizzare presto. Lo considero un numero uno nel teatro classico, e credo che l’accostamento con me possa offrire nuove componenti alla messa in scena.”
C’è un ruolo che vorrebbe interpretare?
“Dopo trent’anni di lontananza dal teatro classico, vorrei recitare tutti i grandi autori, da Moliere, a Goldoni o Cechov”
Magari nel Giardino dei Ciliegi, su cui ironizzavate con il Trio nello spettacolo Allacciate le cinture di sicurezza?
“perchè no! Ma lo sa che a me ed alla Marchesini , che venivamo dal teatro classico e che aspiravamo alle rappresentazioni importanti come quelle di Strehler, quando facevamo quella scena lì tremavano i polsi? Ci sembrava di bestemmiare”
Si apre la porta del camerino ed il direttore di scena annuncia il quarto d’ora che precede la rappresentazione. La gradevolissima chiacchierata con Tullio Solenghi finisce qui. Ci salutiamo, con estrema gentilezza vuole egli stesso accompagnare alla porta me ed il fotografo, sorridendo con quegli occhi un po’ malinconici da eterno bambino, anche ora che, non senza civetteria, dichiara di avere quasi sessant’anni. Ed è difficilissimo crederlo, perchè il suo viso è ancora quello del giovane Pedro a cui la Bella Fighera chiedeva con insistenza: “Vuoi qualcosa da bere?”